Urbino a Raffaello

L’Ateneo ricorda Carlo Bo nell’anno ventennale della sua scomparsa.

I conti di Raffaello con Urbino sono stati fatti tante volte e si continueranno a fare anche in futuro ma i conti di Urbino con Raffaello non sono mai stati affrontati, come sarebbe giusto. Si sono studiate le origini, si è cercato di stabilire quanto e che cosa di Urbino è stato ripreso e trasformato nel lavoro del pittore; si tratterebbe quindi per noi di vedere in che modo Raffaello ha contribuito alla gloria della sua città.

Ora non c’è dubbio che nell’opinione comune i due nomi si sovrappongono fino a fondersi  in una sola vocazione e questo è uno dei pochi casi di una simile simbiosi. In altre situazioni esiste una sproporzione evidente per cui il nome dell’artista aggiunge, se non addirittura illumina della sua luce il paese d’origine, mentre per Urbino le due nozioni sono equipollenti e così assistiamo a un diverso rapporto di forze.

È chiaro che Raffaello non è tutta Urbino, nel senso che Urbino ha una sua storia illustre anche nel campo dell’arte e potrebbe respirare ugualmente da sola: basti pensare alla figura di Federico e alla straordinaria accademia che a un certo momento ha avuto vita in Urbino.

[…] La cosa invece che dobbiamo accertare è questa: in che modo Raffaello ha contribuito a esaltare la sua città? Direi che per una parte la risposta è talmente evidente da non consentire variazioni o discussioni mentre è da riconoscere il segno di questa superba coincidenza.

Urbino non ha dato soltanto i natali a Raffaello, gli ha dato delle origini anche in questo senso e cioè gli ha seminato nel sangue un modello, un codice di comportamento. È infatti in Urbino che Raffaello è nato, è andato a scuola dal padre ed è in Urbino che ha imparato la divina proporzione degli ingegni, soprattutto ha imparato il valore della filosofia, della dignità da dare al suo lavoro di pittore; ma è in base a questo capitale originario che egli poi ha potuto disporre la natura del suo debito, quel debito che ha onorato nella maniera più alta.

E risiamo al debito che Urbino ha nei suoi confronti e forse non soltanto con lui ma con molti altri artisti e più in generale con la cultura europea. Se dicessimo che questo debito è stato sempre riconosciuto e presente, forse non diremmo il vero, anche se al momento di fare i conti non è possibile dimenticare le ragioni della storia e quella che è stata una lunga decadenza, quando da capitale dello spirito Urbino è diventata un luogo della memoria, sia pure sublime ma sempre memoria, specchio rovesciato all’indietro.

Ebbene, in questo lungo periodo di secoli se Urbino ha potuto conservare pressoché intatta la sua luce, anche qui luce nelle tenebre, è perché al suo nome veniva associato quello di Raffaello, e un luogo di nascita veniva esaltato a simbolo non solo di una città ma di una civiltà come quella del Rinascimento.

Da un certo punto di vista è una doppia storia di decadenza e di sopravvivenza al più alto livello e non basta, è un esempio emblematico di quelli che sono i rapporti fra storia e arte, fra ragioni della vita e ragioni dello spirito. Ora questo se è accaduto, è accaduto perché nei secoli è la luce di Raffaello che si è riflessa sulle pietre nobili e sulle dolci colline di Urbino, è perché la quotazione di Raffaello procedeva insieme a quella di Urbino. Potremmo dire che nel giuoco di questi rapporti si fosse instaurato un regime d’affetti come accade fra padre e figlio: un giuoco d’affetti che da un certo punto di vista ha spezzato le catene e vinto gli impedimenti della storia.

È superfluo dire che tutto questo è avvenuto per vie naturali, cosa che dà maggior valore alla vicenda. Nel lungo sonno della sua decadenza Urbino non aveva i mezzi né gli strumenti per rammemorare le sue glorie; era tornata a essere nell’economia del mondo nuovo una piccola città, era scomparso quel discorso alto che per pochi anni aveva acceso la fantasia degli artisti, degli scienziati e dei filosofi del suo grande secolo, a poco a poco era riemersa la più antica delle sue vocazioni, insomma il miracolo era finito e neppure era ipotizzabile un ritorno. I miracoli non ritornano, soprattutto quando sono legati a un luogo.

Le cose sono andate diversamente per Raffaello che, uscendo da Urbino, andava incontro a una gloria senza luogo, entrava in un altro dominio che le cose degli uomini né quelle imperscrutabili della storia riescono a toccare. Ebbene, se in questi secoli di silenzio e d’ombra il nome di Urbino non è  stato sommerso, se un po’ di quell’antica luce ha continuato a vivere, Urbino lo deve a Raffaello che veramente ha rappresentato più che la continuità, il futuro, il domani della città.

Nessuno intende istruire un processo, né tanto meno intende vedere perché a un certo punto Urbino ha passato la mano al suo figlio maggiore, anche perché rientreremmo per un’altra porta nel discorso della storia e qui la storia ha scarsi e limitati poteri; resta però il fatto che se da una parte è venuta meno la voce diretta della creazione o meglio della tradizione, questa tradizione è stata tenuta viva da Raffaello, sia pure nel giuoco dei consensi e dei sospetti, tipici dell’altalena delle valutazioni artistiche.

Ma lasciamo da parte questo debito inscritto nei libri dei secoli scorsi, vediamo piuttosto in che modo oggi, sia pure in un mondo di proporzioni sterminate e certo non calcolabili con gli strumenti degli scienziati del Duca, vediamo in che modo è possibile invertire l’ordine  della pura celebrazione e riportare l’ombra di Raffaello nel cielo di Urbino. Intanto va osservato che non tutto il tempo moderno è stato sciupato in questo atto dovuto di riconoscimento e di riconoscenza; molto è stato recuperato del grande passato, si è cercato di uscire dal sonno e rompere lo stato d’inerzia, tuttavia la maggior parte della seconda eredità di Raffaello aspetta di essere finalmente accettata e ristabilita.

La prima cosa da fare è di riaccendere o di accendere ancor più dentro le mura di Urbino quella luce che ora appartiene al mondo, quindi è indispensabile restituire alla città quel carattere particolare di centro di cultura […] se non siamo troppo ambiziosi, di città dell’anima.

Quella storia che tante volte abbiamo cercato di tenere fuori del nostro discorso e di cui abbiamo intravvisto le insidie e i pericoli ha avuto su Urbino un effetto paradossale: conservandola nel silenzio l’ha salvata da ogni tipo di speculazione epperò a tutt’oggi non è stata inghiottita dalle esigenze della nuova società. Urbino ha mantenuto la sua grazia e la sua forza che – lo ripetiamo – è una potenziale forza culturale.

È un’isola con tutti i vantaggi della riservatezza e di una ben calcolata solitudine, diciamo pure che è un’isola simbolica che aspetta di vedere ricostituiti e rivitalizzati questi simboli. Non coltiviamo sogni, progetti, restiamo attaccati al significato di questa splendida terra, chiediamo soltanto che attraverso una conversione culturale di ordine generale torni a essere un centro, un luogo di incontri, una nuova accademia dove però il nuovo  sopravanzi il vecchio, dove l’uomo possa ritrovare quella dimensione che altrove è stata avvilita, distorta o a dirittura annullata.

[…] penso allo spirito, a quanto nel nome di Raffaello è stato meditato e trasformato nel mondo. Ecco che bisogna credere al simbolo più che alla realtà, alla storia – questa volta -, più che alla geografia, all’economia dello spirito più che a quella molto improbabile dei nostri calcoli. Una volta accresciuta la dose di questa reinvenzione culturale per piccola parte già avviata, ecco che naturalmente tornerà con Raffaello inteso come simbolo a essere pari anche il nostro debito o per lo meno a non essere così cospicuo.

Tutto questo non è una semplice ipotesi fomentata dal nostro sentimento, diciamo pure dalla nostra passione, no; è una realtà che aspetta soltanto di essere accettata dentro i suoi più veri confini e affrontata con quelle forze che sono animate dallo stesso proposito. Mi sembra che questa sia la strada da percorrere se di un emblema vogliamo cogliere le più segrete e allettanti suggestioni, se intendiamo pagare il nostro debito.

Direi che già nell’ammettere questo discorso dell’Urbino che si rivolge a Raffaello sia qualcosa di più di una convenzione retorica e ancora sia il tentativo di ristabilire un equilibrio che ora è a tutto vantaggio dell’immagine astratta di Raffaello. Non si tratta di cambiare il nome di Urbino o di aggiungere a quello di Urbino l’aggettivo raffaellesco, così come faceva il pittore con Urbino firmando i suoi quadri, il tema è assai più ambizioso e consiste nel voler ridurre o fondere nel nome di una città la vocazione assoluta dell’arte.

Qualcuno potrebbe accusarci di cadere in un’altra occasione retorica, nel senso che le strade dell’arte non convergono mai con quelle della nostra volontà o della nostra ambizione ma non è certo questo il nostro proposito: per quanto possa suonare eccessivo, il nostro sogno è che Urbino ridiventi  un luogo di convergenze, di studio, di alte e nobili sollecitazioni spirituali e intellettuali. Ora per questo è necessario predisporre le strutture, sollecitare i rapporti, dare un respiro internazionale alla nostra vocazione.

Se non si può ricreare il miracolo del Palazzo, la sua conferenza di spiriti eletti, se non si può prefigurare l’apparizione di un nuovo Raffaello, si può però cercare di predisporre un clima, di costruire una casa in modo da sapere quando si pronuncia il nome di Raffaello, che cosa c’è dietro, in modo da sanare il nostro debito.

Non è un compito da poco ma è una giusta riflessione sulle nostre responsabilità  e non parlo in questo caso soltanto per gli urbinati, per il fatto di essere a metà urbinate o un convertito a Urbino.

Soltanto con un’azione costante, generosa e libera ci è consentito rimediare a un’ingiustizia e fare di Urbino – ancora una volta – la città eterna e non soltanto la città di origine di Raffaello. […] senza questo primo stato coscienziale nessun proposito culturale ha un senso e il vero viene di nuovo sepolto dal tempo.

[Ḕ questo il discorso tenuto da Carlo Bo il 6 aprile 1984, in occasione del V centenario della morte di Raffaello Sanzio, in apertura del Convegno Internazionale: Studi su Raffaello (Urbino-Firenze, 6-14 aprile 1984), e qui interpretato e letto da Simone Dubrovic. Recentemente ristampato in trilogia assieme a Raffaello. Bellezza e verità e Urbino e Raffaello nei “Quaderni della Fondazione Bo” (luglio 2020), la lettura si offre quale intensa interpretazione del discrimine tra il concetto di nascita e quello di origine.]

Voce recitante: Simone Dubrovic – Fotografia: Bob Krieger