Una città che non deve morire [1965] letto da Michele Pagliaroni

L’Ateneo ricorda Carlo Bo nell’anno ventennale della sua scomparsa.

Siete mai stati a Urbino? È una domanda che presuppone una risposta negativa. E non mancano le scuse: Urbino è fuori mano, Urbino è isolata, è un nome. Urbino continua a rimanere una città morta. Lo è soprattutto per gli italiani, per chi invece dovrebbe costituire una ragione orgogliosa e un tema di ritorno, un tema eterno. Infatti, insieme a poche altre città italiane, Urbino è una città dell’anima.

Ma il libro delle proteste non deve essere chiuso a questo punto. Oggi si deve parlare anche delle conseguenze di questo stato di cose, perché Urbino sta conoscendo una seconda morte.

Urbino crolla, Urbino cade in rovina. Si tratta di un patrimonio ingente che per inerzia o per distrazione si lascia deperire, fino al punto di doverne prevedere a breve scadenza una serie di danni irreparabili.

La città ha reagito, una legge speciale è stata preannunciata, qualche lavoro intorno alle mura sotto il Palazzo Ducale è stato anche iniziato, ma sono palliativi trascurabili in confronto di quello che resta da fare con urgenza e su basi molto più vaste. Chiese, palazzi, lo stesso miracolo del Palazzo Ducale sono minacciati: è un elenco lungo e doloroso che si è depositato nei secoli e che oggi reclama a gran voce un intervento decisivo.

Naturalmente non bastano delle opere parziali, non basta recintare le chiese pericolanti: Urbino per la sua storia e per la sua straordinaria bellezza esige che il suo problema sia affrontato in modo globale. Non basta arrestare il movimento di corruzione aperta, non basta nascondere o velare i segni della sua rovina, bisogna trovare, nell’ambito di una opera intesa a interrompere questa corsa verso la polvere, verso i ruderi, le ragioni di una ripresa, di una vera e propria rinascita.

Sembra quasi, anzi è una ironia che tanto patrimonio, così prezioso per la storia dell’uomo, sia affidato alle mani, anche se eccezionalmente esperte, di un solo scalpellino. Gli occorrerebbe un secolo di lavoro ininterrotto per sfiorare appena le opere più urgenti.

Di che cosa vive Urbino, che cosa – meglio – oggi le permette di non morire anche sul piano economico? Non già l’agricoltura che qui è sempre stata povera e oggi attraversa una crisi di carattere generale in condizioni di netta inferiorità. Le campagne si spopolano, famiglie che occupavano da secoli i poderi fuggono verso il mare, in cerca di un minimo di benessere e per rompere le catene di una durissima fatica. Urbino ha come uniche sue possibilità di salvezza, come elementi attivi per sopravvivere, l’arrivo degli studenti e il passaggio dei turisti.

Soltanto quando ci sono gli studenti Urbino sembra respirare e allontanare lo spettro della più desolata solitudine. L’Università conta oggi ottomila studenti, è in qualche modo la città vera. Qui come in nessun altro luogo del mondo la popolazione studentesca supera quella degli abitanti. A ogni urbinate corrisponde uno studente e mezzo. Si tratta quindi di sviluppare e di accrescere questa sorgente di vita, questa straordinaria occasione di sangue nuovo, potenziando le istituzioni che esistono da secoli e creandone altre. È quasi un simbolo che vale oltre la storia di una mirabile città, è un simbolo che serve per tutto il nostro Paese. Questa collaborazione spontanea fra una città monumentale e una popolazione di giovani lascia intendere in che modo si deve pensare alla cultura. La cultura ambientata in città come Urbino è veramente il segno della continuità e di una speranza che possa vincere lo spettro della morte.

Urbino consente ciò che altrove, per esempio in una grande città, è impossibile: un dialogo, una vita in comune, la collaborazione naturale e spontanea fra studenti e professori. È questa gioventù a portare l’immagine di un futuro diverso, migliore.

Sono i giovani che oggi vengono da tutte le parti d’Italia e, d’estate, da tutta l’Europa, sono i giovani che danno il segno della possibile rinascita.

Si tratta quindi di offrire sempre di più a queste nuove famiglie di giovani umili ma veri, poveri ma certi e sicuri della loro passione intellettuale un soggiorno pieno, l’immagine completa di una dimora.

Non siete mai venuti a Urbino? Se continuerete a rispondere di no, dovrete sentirvi in colpa, perché vi mancherà una dimensione della civiltà italiana. E questo lo si dice non soltanto per quello che è il suo patrimonio artistico, no, lo si dice per quella che è la fisionomia stessa della città, per la sua aria, per la straordinaria bellezza della sua terra. Urbino è un paesaggio incantato, chi ha percorso soltanto una volta la strada rossa che porta a Fermignano per valli di una dolcezza indimenticabile o conosce la strada ducale che corre sul filo delle colline, parallela alla provinciale per Pesaro, sa che non sono menzogne, sa che non è retorica. C’è una Urbino che respira al centro del cuore d’Italia e che è rimasta intatta dai tempi dei suoi grandi pittori, a memoria di una dignità dello spirito che il nostro modo di vivere ha umiliato e infine perduto.

 

[Il testo riproduce con minime libertà d’autore gli inserti a commento del documentario eponimo, girato dalla Unitelefilm nel 1965, con regia di Diego Fiumani, consulenza, architettura e urbanistica di Giancarlo De Carlo, voce recitante di Nando Gazzolo.
Ripubblicato in Carlo Bo, Discorsi rettorali, Urbino, Argalia 1973, e quindi in Carlo Bo, Parole sulla città dell’anima, a c. di G. Santini, Urbino, Assessorato alla Cultura 1997, è stato recentemente restituito, nella sezione Novità, sul portale della “Fondazione Carlo e Marise Bo”. In questa sede, anche nella volontà di rappresentare la continuità dell’impegno civile di Bo per la città di Urbino, dopo il crollo di mura avvenuto il 24 ottobre 1964, con sensibilità e per esempio di testimonianza, il brano è interpretato da Michele Pagliaroni, attore, drammaturgo, regista teatrale, e Direttore Artistico del “Centro Teatrale Universitario Cesare Questa”.]

Voce recitante: Michele Pagliaroni – Fotografia: Bob Krieger