Dove vive Urbino [1960] letto da Roberto Danese

L’Ateneo ricorda Carlo Bo nell’anno ventennale della sua scomparsa.

Dov’è Urbino? Com’è veramente questa città che affida la sua memoria soprattutto a poche nozioni di storia e di arte? Se provate a rivolgere queste domande agli italiani, non avrete che delle risposte vaghe, imprecise: tutt’al più, una confessione di ignoranza mista a un timido desiderio di correggere le scarse e imprecise notizie.

Eppure Urbino è una delle città, una delle terre più belle d’Italia: in certi momenti, un paese miracoloso per l’equilibrio del disegno, per la perfezione delle luci, insomma per una stupenda disposizione naturale. Non basta esserci stati poche ore o, magari, un’ora soltanto, per visitare il Palazzo Ducale: no, bisogna lasciarsi prendere da un tempo più largo, toccare da una stagione. Basta, per esempio, la luce di certe giornate di gennaio, il grigio di certi inverni per sentire di essere davvero al centro, all’origine stessa dell’Italia.

Ma lasciamo il giuoco di queste impressioni che appartengono, del resto, a una larga famiglia di «fedeli», soprattutto stranieri: riportiamoci alla linea del sogno e della memoria al limite della realtà, chiediamoci: come vive Urbino, di che cosa vive?

Vive male, forse non è neppure necessario ripeterlo. È una città sperduta, fuori dalle grandi linee di comunicazione. Chi ha bisogno di Urbino? Della sua povera agricoltura di mezza montagna, non è il caso di parlarne. Le industrie mancano: soffre, come tutte le città interne delle Marche, della facile concorrenza dei paesi che si trovano sulla costa, sulle grandi strade servite dalla ferrovia. Per questo, a poco a poco, l’idea stessa della città si è venuta identificando con quella dell’Università. L’Università libera di Urbino ha ritrovato, dopo stagioni di crisi e di incertezze, la strada della ripresa. In una terra che tende a perdersi nel sonno e nell’oblio, l’Università sembra essere l’unica istituzione capace di restituire un senso di vita, una forza, un desiderio di continuare su una nuova strada la vecchia tradizione gloriosa.

La salvezza sta, dunque, per Urbino nel potenziamento della sua massima istituzione culturale. Bisogna essere convinti di questa verità e non solo per il futuro della città ma anche per le sorti dei nostri studi superiori. L’università può infatti trarre da quelle che normalmente sono condizioni negative – la solitudine, la posizione appartata, la vita che ancora rispecchia delle norme di eccessiva tranquillità, ecc. – ragioni di impulso. Si può, anzi si deve pensare che una città come Urbino si presti perfettamente a diventare una città di studi, una città per studenti dove i facili contatti fra professori e studenti, dove una vita fatta veramente in comune, nel senso di un dialogo costante, possano imprimere un carattere unico, irripetibile altrove. Naturalmente non bastano queste condizioni particolari, queste premesse: occorrono mezzi, occorrono aiuti e il fatto che l’Università sia libera non favorisce certo un piano di lavori del genere.

È vero che negli ultimi tempi chi si preoccupa delle sorti dell’istruzione superiore – soprattutto l’attuale Ministro della Pubblica Istruzione, il senatore Giuseppe Medici – ha inteso nell’esatta misura il problema di Urbino-Università e non ha mancato di dare degli aiuti concreti. Basterà ricordare il più importante di tutti, vale a dire il finanziamento per la costruzione di un primo Collegio Universitario maschile, a cui dovrebbe seguire presto quello per un Collegio femminile. È qualcosa di più importante di un semplice e generoso riconoscimento, è la dimostrazione che si è valutato finalmente la natura del problema delle Università poste in piccoli centri e si è cercato di risolvere in modo diretto la questione particolare di Urbino.

Il provvedimento viene a coronare in un certo modo le aspirazioni e le ambizioni di tutti i professori che da anni – nonostante grosse difficoltà di carattere finanziario – hanno nutrito e i lavori di rinnovamento che allo scopo si sono fatti nel palazzo centrale dell’Università.

Chi entri oggi nella nostra sede non riuscirà a riconoscere nulla della vecchia sistemazione, della povertà degli impianti, della miseria dei servizi. Ciò che è stato fatto sotto la guida dell’architetto Giancarlo De Carlo è il primo grande passo sulla strada di un rinnovamento concreto e di una modernizzazione funzionale. Oggi l’Università di Urbino è in grado di rispondere alle richieste e alle esigenze di una numerosa popolazione scolastica, così come la sua sede rappresenta un esempio di sapienza architettonica e di intelligenza artistica.

Come vive Urbino? Vive di questo polmone, si nutre della sua Università. Basta questo per ricordare atutti gli italiani il caso di un’istituzione culturale estremamente felice, in cui confluiscono senza contrasti e senza discordie, gli interessi della vita pratica e le ragioni di quella intellettuale. Un caso unico, speriamo che riesca a vincere il tempo, a durare, a consolidarsi.

[Il testo che qui si presenta, e che compone un dittico di splendido rispecchiamento con un complementare articolo di Giancarlo De Carlo: L’Università di Urbino, è stato pubblicato nella sola sede della rivista “Domus” n. 3/marzo 1960. Per il suo carattere di vera rarità, e per l’intensità emotiva e la valenza politica che assume nel progetto di ricostruzione ed espansione dell’Ateneo urbinate, si è pensato di esporlo con rilievo nella mostra dedicata al ventennale della morte di Carlo Bo (dal 14 ottobre aperta a Palazzo Passionei) in una copia originale della rivista, che si presenta anche corredata dalle immagini del restauro di Palazzo Bonaventura, il primo intervento voluto da Bo sugli edifici storici dell’Università, quasi contemporaneamente all’edificazione di una prima tranche dei collegi universitari, oltre le mura. Per la sua rarità, e per il valore simbolico ancora oggi attualissimo, il testo viene qui interpretato da Roberto Danese, ricordando la terra di Liguria, ovvero l’origine, che condivide con Bo.]

Voce: Roberto M. Danese – Fotografia: Bob Krieger