Confessione di Nicodemo [1992] Letto da Tiziana Mattioli

L’Ateneo ricorda Carlo Bo nell’anno ventennale della sua scomparsa.

Avvicinandomi alla fine della vita mi capita sempre più spesso di riandare al passato e di ripensare ai fatti e momenti capitali, agli avvenimenti che hanno segnato i miei giorni e naturalmente al più importante: la storia dei miei rapporti con Gesù. E nel procedere in queste rivisitazioni non riesco a sfuggire al senso di colpa, a quanto non ho fatto, a quello che avrei potuto fare e ho preferito mettere da parte o calare nel mare dell’oblio e del silenzio.

Intanto devo dire subito che tutto mi porta a fissare un primo punto, sono stato un privilegiato, uno che è stato portato sui margini della strada della salvezza, uno che ha sentito la voce di Dio, anche se poi sono stato travolto nelle spirali dell’incertezza […]. Che si sia trattato di una grazia non ci sono dubbi: io ero un fariseo, ero un dottore della legge e facevo parte del Sinedrio. Come si vede, c’era tutto perché non venissi chiamato, perché Gesù scegliesse qualcuno più vicino alla sua famiglia spirituale e invece mi sono sentito chiamato, meglio mi sono sentito stranamente coinvolto in un’avventura tutta al di fuori delle mie abitudini e dei miei statuti. Che cosa ha colpito la mia fantasia, per quali voci sono stato tratto a pormi delle domande su quest’uomo che predicava una fede slegata e svincolata dalle catene della mia legge, di quella legge di cui mi ero fatto interprete e custode? […]. A un certo punto ho dovuto cogliere e apprendere dai rumori della gente che era entrato sulla scena del nostro mondo […] un personaggio che si muoveva in assoluta libertà e predicava una fede fondata sull’amore dello spirito. Naturalmente prima di andare a bussare a quella porta di notte ho dovuto lottare con me stesso, dentro di me e non era facile, c’era da buttare via tutto un guardaroba di manti, di distintivi, di insegne, insomma tutto quanto fino a quel momento aveva difeso e esaltato la mia parte ufficiale. […]

È stato il dubbio a aprire per la prima volta un varco verso la lettura della libertà e della verità. Non basta, fino a quel momento ero andato avanti con una fiducia che derivava dalla grande tradizione ma tale fiducia è stata scossa dal fatto che Gesù dava delle testimonianze inoppugnabili, mandava dei segni. Furono proprio questi segni a vincere le mie perplessità e a portarmi all’incontro, incontro che per prudenza, per paura del mondo avveniva nel buio profondo della notte. Di questo sono stato accusato un po’ da tutti […].Un’accusa che mi peserà sulle spalle per sempre, il mio peccato di prudenza e di cautela porterà addirittura il mio nome e così quando nel lungo movimento dei secoli si dovrà trovare un nome alla mia malattia e diciamo pure al mio peccato basterà dire che questo male si chiamerà ‘nicodemismo’. Gesù non ha tenuto conto di questo […].Il suo popolo lo doveva cercare specialmente fra gli spiriti inquieti, fra quelli che, pur avendo un passato e una carriera da difendere, mostravano delle incertezze e dei dubbi. Ha capito subito non appena gli sono andato a chiedere che cosa bisognasse fare per salvarsi di fronte agli occhi di Dio e non ha esitato. La mia differenza con lui sta proprio qui, io vivevo nel gorgo delle paure e dei rimorsi, avevo finalmente compreso ma non sapevo decidermi mentre lui era il segno della decisione, il simbolo stesso della forza interiore. Tuttavia nel mio comportamento non sta scritta soltanto la mia storia e questo perché a sua volta è il simbolo della gran parte dei credenti, di tutti quelli che fino alla fine del mondo saranno tentati, saranno chiamati e esiteranno al momento di fare l’ultimo passo.

[…] A me [Gesù] ha insegnato che per salvarsi non basta soltanto il battesimo (l’acqua) ma è assolutamente necessario che si operi dentro di noi una piena conversione e la conversione avviene soltanto dall’alto, con l’aiuto dello Spirito […]. Quando ero con lui tutto dei miei dubbi e delle mie paure cessava ma le cose cambiavano quando riassumevo la mia maschera pubblica. Ora sapevo che senza quell’aiuto che viene dallo Spirito non ci può essere né conversione né salvezza e, nonostante questo, non riuscivo a uscire dalla rete delle convenienze. Ero convinto di quella verità ma mi era molto difficile, se non impossibile, gettare tutto del passato e seguirlo. Lo seguivo con il cuore, non con lo spirito. Ciò non toglie che quando lo si voleva condannare io sia riuscito a parlare: ho gridato, non si può condannare senza delle prove. Era ancora il dottore della legge che parlava ma […] le mie povere parole erano la risposta al grande segno che avrebbe dovuto riscattare il mondo. Amia difesa valga ancora la mia presenza ai piedi della Croce, la mia partecipazione, con Giuseppe d’Arimatea, nel preparare le cose necessarie per la sepoltura. […] Vicino, ma non insieme agli altri discepoli di Gesù ero diventato un testimone attivo, uno a cui Gesù aveva fatto per intero la grazia, eleggendolo finalmente visitatore del giorno e non più della notte.

In che modo devo concludere questa confessione piena, esaltata al momento del congedo? Non cerco giustificazioni, faccio appello alla mia natura che è poi quella di milioni di spiriti che si diranno cristiani e non lo diventeranno mai veramente. Mi considero un uomo pieno di grazie ma fragile, ma debole, corrotto dalla carne, sfiorato a volte dallo Spirito: un uomo legato nei suoi abiti e nelle sue abitudini ma che pure sa bene quale sarebbe il suo dovere e nello stesso tempo esita al momento di mangiare il pane della vita e non ha la forza di ricordare che la salvezza viene dall’alto e da chi vi abita, cioè dallo Spirito. Se dovessi definirmi con poche parole direi: un uomo che ha visto i Segni e ne è rimasto convinto e paralizzato. E se dovessi impetrare il perdono aggiungerei: Dio, dammi finalmente la mia fede, la vera fede e ancora accresci la mia fede. E paradossalmente, a costo di peccare, concluderei finalmente: chiamami, salvami per i miei dubbi, per avere così manifestato a tutti che, senza di te, senza lo Spirito non c’è salvezza. Resto per l’eternità quello che cerca e sa bene che la verità è nel buio del mistero.

[Questo scritto, di cui non si conosce la sede di pubblicazione, ed ha dunque al momento valore di inedito, è stato ritrovato in forma dattiloscritta presso l’archivio privato di Valerio Volpini il 22 luglio 2017. Nell’Archivio urbinate della “Fondazione Bo”, è presente una lettera dello stesso Volpini al Magnifico Rettore, del febbraio 1992, nella quale espressamente si richiede “un racconto” in cui vengano rammemorati i passi del Vangelo di Giovanni relativi a Nicodemo, alla sua fede segnata dall’incertezza. Bo sceglie di affrontare il tema in una modalità particolarmente intima, in larga misura autobiografica. Per questa ragione, data la rarità della pagina e l’intima confessione, per volontà del Rettore Calcagnini, lo scritto è stato edito in plaquette, per i tipi di Raffaelli, Rimini, il 21 luglio 2021, giorno della ricorrenza ventennale della morte di Carlo Bo, come omaggio dell’Ateneo. La lettura è qui affidata alla voce di Tiziana Mattioli, che ha trovato il documento e ne ha curato la stampa.]

Voce: Tiziana Mattioli – Fotografia: Bob Krieger